Il vino è un settore di mio grande interesse sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista personale. Ci lavoro da diversi anni occupandomi di comunicazione offline e online. Non sono una tecnica, non ho mai studiato da sommelier anche se è una di quelle cose messe nella lista dell’agenda alla voce “da fare”. Mi ritengo una consumatrice “tipo”, un’amante del vino, appena fuori dalla categoria dei “Millennials”, ma comunque non troppo lontana, che riesce ad orientarsi tra le diverse tipologie di vino. Sono profondamente curiosa e mi piace sperimentare anche se ho le mie preferenze. Digitalmente parlando sono piuttosto evoluta: non sono solo un’appassionata del prodotto e di tutto quello che rappresenta ma anche della sua comunicazione.
Perché questa premessa?
Perché io per questo settore sono una delle possibili “(buyer) personas” ovvero un particolare tipo di persona con cui le cantine possono o vogliono entrare in contatto e interagire. Sono una “personas” mediamente evoluta, quindi probabilmente non rientro nel target della maggioranza dei consumatori italiani di vino (in seguito vi riporto la ricerca che ne fa un identikit) ma nonostante ciò mi sono accorta di avere a volte delle difficoltà a comprendere il linguaggio utilizzato per parlare del prodotto e a esserne coinvolta dalla sua comunicazione sui canali digitali.
Facciamo un passo indietro
Con l’avvento del web 2.0, l’attenzione che i grandi brand pongono sulle persone si è moltiplicata. Le persone sono diventate importanti soprattutto per la loro capacità di co-creare contenuti. Ecco perché oggi si parla di Marketing Personas, dove il termine “persona”, dall’accezione inglese di “personaggio”, è utilizzato appunto per definire dei personaggi creati ad hoc, degli “identikit”, con lo scopo di identificare i propri clienti tipo. Le “personas” sono in sostanza dei cluster di target reali che vengono individuati nel corso del tempo basandosi su analisi, ricerche ed esperienze acquisite per orientare la propria strategia di comunicazione. Conoscendo il nostro pubblico possiamo creare i contenuti giusti per ottenere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Questa logica è diventata fondamentale nel Content Marketing e nell’Inbound Marketing:
For content marketing purposes, you need personas to help you deliver content that will be most relevant and useful to your audience.
[Jodi Harris]
In che modo tutto ciò c’entra nella comunicazione digitale del vino in Italia?
Io credo che non solo c’entri ma che sia fondamentale e ora vi spiego perché.
Il primo nesso lo ritroviamo provando a rispondere a questa domanda: qual è il consumatore italiano tipo? Qual è il pubblico a cui si stanno rivolgendo per la maggior parte le aziende vinicole italiane?
Da una ricerca condotta dalla Fipe e presentata a Vinitaly 2016 emerge che il consumatore italiano tipo è amante del vino, ma non intenditore. È uno studio condotto sul consumo fuori casa (quello fatto al bar, ristoranti e pubblici esercizi in genere) ma lo trovo comunque significativo per poter avere un quadro del tipo di “personas” che un’azienda vinicola si può trovare davanti.
L’85% degli intervistati ha dichiarato di non ritenersi per nulla esperto o in pochissima parte di enologia.
La scelta del vino è quindi strettamente legata ad altre variabili quali appunto i consigli diretti del ristoratore, nel caso di consumi fuori casa (85%), il rapporto qualità/prezzo (73%), la notorietà del produttore (53%), la notorietà del vino (34%) e il passaparola (28%).
Saputo questo, credo che sia necessario che le cantine italiane sviluppino una nuova consapevolezza nel loro modo di comunicare il vino in particolare sui canali digitali dove a maggior ragione i frequentatori prestano ancora meno attenzione a tecnicismi e concetti complessi.
Se da un lato l’identikit del consumatore di vino italiano è questo, dall’altro qual è quello delle cantine dal punto di vista della comunicazione digitale?
In questi ultimi anni abbiamo assistito all’esplosione dell’utilizzo delle nuove tecnologie e alla diffusione dei social media. Nel tempo ho seguito con molta attenzione l’approccio a questi nuovi strumenti da parte delle cantine. Ho scritto il primo articolo sul tema nel 2013 al ritorno dalla 47esima edizione di Vinitaly e, Vinitaly dopo Vinitaly, ho assistito ai primi passi delle realtà più lungimiranti, che hanno provato ad integrare la loro presenza offline con quella online.
Da allora le cose sono effettivamente cambiate ma probabilmente non così velocemente rispetto alla continua trasformazione del mondo digitale.
Di recente ho letto diverse ricerche fatte nell’ambito del vino digitale, la prima condotta da Be Sharable e la seconda da AQuest e ripresa poi in un articolo di In-Time, di Franz Russo.
Entrambe descrivono una realtà in evoluzione, sicuramente in crescita, ma ancora con margini di miglioramento.
Lo scenario è ormai piuttosto definito: il 95% delle aziende ha il proprio sito internet e ben 8 cantine su 10 sono iscritte a Facebook, però, in entrambi i casi, spesso non ne viene sfruttato il potenziale.
[Be Sharable]
Dalla ricerca emerge che: sebbene ci sono buone prospettive, molte aziende non dispongono tuttora né di una strategia di comunicazione digitale precisa né di persone specializzate a comprendere e a svolgere questo tipo di attività. È vero che i siti internet ci sono, ma spesso sono obsoleti, così come le pagine Facebook che non sono sfruttate come dovrebbero.
Anche AQuest conferma una buona percentuale di presenza sui Social Media (pari al 59,5% delle aziende intervistate) ma comunque ancora lontana dalla totalità. Il 40% delle cantine, infatti, non sfrutta ancora al meglio questi canali per raccontarsi, trasmettere emozioni e far vivere un’esperienza coinvolgente all’interno di questo mondo così speciale.
Perché allora siamo ancora lontani?
Come scrive Franz Russo: “l’utilizzo che ne viene fatto punta ancora alla quantità piuttosto che alla qualità” e, riprendendo un post che ho scritto sulla centralità del ruolo dello storytelling nel marketing del vino, mi sento di poter aggiungere e ribadire che solo trasformando il marketing del vino in storytelling ci si può davvero distinguere e far conoscere, oltre che arrivare diretti alle persone creando relazioni.
Il ruolo di uno storytelling di qualità è ancora paradossalmente sottovalutato in un settore così ricco di storie come questo e probabilmente è anche necessaria un’apertura verso nuove dinamiche (es. Influencer Marketing, collaborazioni con blogger, che non siano necessariamente del settore, anzi). Il vino è, infatti, anche lifestyle ed emozione, cosa c’è di più bello che raccontare tutto questo utilizzando i mezzi e canali che il digitale mette a disposizione?
Le modalità di comunicazione che spesso sono utilizzate per parlare di vino sono ancora troppo legate a quelle più tradizionali, dell’offline, con linguaggi complessi e fin troppo tecnici che non riescono ad avvicinare la maggioranza dei consumatori del nostro paese.
Il motivo non lo conosco e lo posso solo presumere: in parte penso che sia legato al timore e alla difficoltà di “semplificare” i toni con cui si parla di vino, quasi per paura di non dargli il giusto valore, in parte credo sia un problema di approccio legato ancora al mondo della comunicazione tradizionale, dove tutto è sempre stato campagna pubblicitaria o promozione.
Queste dinamiche sono profondamente cambiate, di questo si deve essere consapevoli, come deve essere ben chiaro che il vino è un grande patrimonio per il nostro paese la cui valorizzazione dipende anche da una trasformazione della mentalità nella sua comunicazione digitale.
È una grande opportunità da cogliere!